Sinossi
Un antico asse territoriale lungo il quale si è strutturata una porzione della città. Proprio in virtù del suo rango la strada continuerà a svolgere un ruolo ordinatore, di armatura, anche in epoca moderna, diventando l’attestamento di una serie di grandi complessi e spazi che, a partire dalla seconda metà dell’800, attrezzano la città in espansione e danno forma alle nuove esigenze: l’ospedale psichiatrico, il cimitero, la fabbrica, il centro commerciale, il luna park. Luoghi che rifiutano la logica dell’omogeneità del tessuto urbano e si impongono come realtà coerenti e autonome. Eterotopie secondo alcuni autori, luoghi separati e diversamente regolati. In loro presenza la dissoluzione dello spazio che caratterizza la città contemporanea subisce un effetto moltiplicatore. I confini, già incerti, sfumano definitivamente, rendendo impossibile ogni delimitazione o attribuzione di pertinenza.

Il progetto
«L’idea è che di un luogo, perché sia tale e non una porzione di spazio ritagliata in modo più o meno casuale, si deve poter raccontare la storia dall’interno». F. Scarpelli, Piattaforme girevoli e identità invisibili, 2013 Il racconto di questo importante quartiere (struttura urbana) avviene attraverso alcuni edifici “simbolo” che, per loro caratteristiche, trascendono la semplice dimensione dell’appartenenza al contesto locale e si fanno portatori – in quanto sperimentazioni o vere e proprie eterotopie – di visioni altre, di principi ordinatori e di ordini spaziali sovralocali che rendono impossibile definire con esattezza una loro pertinenza. Questa loro dimensione trans-spaziale attinge a immaginari distanti e non può essere raccontata solo attraverso il manufatto fisico. Necessita delle parole di chi li ha concepiti, di chi ha avuto a che fare con essi, di chi li ha abitati o anche semplicemente di chi è stato testimone della loro natura di dispositivi disciplinari ancor prima che spaziali: incontriamo un proiezionista che avrebbe voluto proiettare le pellicole «ma oggi è solo digitale», una medievalista e un giovane (che ha tatuato sul braccio il nome della piazza) che decidono arbitrariamente dove per loro la via termini, sindacalisti nostalgici (e no) nella spianata che fu una grande fabbrica, uno studioso del territorio che parla di «una città d’acque», operatrici sociali alle prese con un progetto di ristrutturazione, un giostraio e la figlia, un esule dalla Dalmazia dopo la Seconda Guerra Mondiale, un padre e una figlia al mercato ortofrutticolo, un’insegnante, geografa, consapevole dell’uso degli ambienti scolastici: «non mancano gli spazi, ma bisogna dare vita, agli spazi», un sociologo e rapper al cimitero racconta i luoghi nati con un preciso piano di esclusione sociale, un architetto scontento di quanto il tempo si sia accanito su un suo progetto, dirigenti di una squadra di basket preoccupati a causa di un intervento urbanistico… Testimoni che, seguiti dalla macchina da presa, ripercorrono questi spazi peculiari e li raccontano dall’interno, facendoci capire come la loro identità non sia più sovrapponibile a un’idea di luogo intesa come semplice porzione di spazio fisicamente limitata.